Uno studio dell’Ocse dimostra che con la crisi i flussi sono decisamente diminuiti
Sì, è vero. Siamo abituati a pensare che crisi economica faccia rima con crescita spropositata dell’immigrazione. Ma le cose non stanno affatto così. Come rivela uno studio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), presentato pochi giorni fa a Bruxelles, le migrazioni internazionali sono notevolmente diminuite negli ultimi anni.
Secondo il rapporto, il numero dei migranti arrivati nei paesi Ocse nel 2009 è calato del sette per cento, due punti in più del calo registrato nel 2008. Altro che esodi biblici. L’origine di questo dato, in totale controtendenza rispetto al senso comune, va ricercato proprio nella crisi economica – che, facendo calare la produzione, diminuisce anche la richiesta manodopea da impiegare: specializzata o non specializzata che sia.
Ma non c’è solo questo. Secondo lo studio, c’è anche un’altra causa a cui è collegato il crollo delle percentuali sull’immigrazione. È la caduta della libera circolazione delle persone. Nel rapporto si legge infatti che «il declino della libera circolazione è stata la causa principale del calo generale avvenuto nel 2009, con una riduzione di circa il ventidue per cento. Allo stesso modo, la migrazione di lavoro ha subito una battuta d’arresto, con circa il sei per cento in meno». Numeri alla mano, dunque, si può dire che la rappresentazione apocalittica che i media danno della situazione è più frutto di una percezione emotiva che di un’analisi attenta della realtà.
Certo lo studio citato – l’International Migration Outlook 2011 – si riferisce ai dati raccolti nel periodo 2008-2009. E l’obiezione che gli si potrebbe muovere è allora quella di non considerare i cambiamenti verificatisi negli ultimi due anni. In particolare, i flussi che dovrebbero generarsi dal disordine provocato dalle recenti rivolte nei paesi arabi. Che, secondo la vulgata corrente, faranno crescere esponenzialmente i flussi migratori: «Non abbiamo dati accurati sul periodo successivo a quello preso in considerazione dal rapporto», dice a Europa Jean-Pierre Garson, uno degli autori dello studio. «I governi non forniscono i dati che riguardano gli ultimi anni. Tuttavia, abbiamo delle informazioni di massima sui flussi. E, secondo i dati che possediamo, nel 2010 il trend che evidenziamo nel nostro rapporto non è affatto smentito, anzi. Anche per quel che riguarda i primi mesi del 2011 – sebbene non possediamo tutte le informazioni che sarebbero necessarie – si può dire che non c’è nessun picco che segnala una controtendenza».
Una delle ragioni per cui i militanti della Lega Nord si opponevano alla guerra in Libia era il rischio di un’invasione di immigrati provenienti dai paesi arabi. Ma Jonathan Chaloff, analista del dipartimento sull’immigrazione internazionale dell’Ocse, esperto delle migrazioni riguardanti l’Italia, spiega al nostro giornale che «i flussi dai paesi arabi verso l’Europa non sono mai stati elevatissimi. La maggior parte delle persone che dal Nord Africa raggiungono le coste italiane – prosegue – hanno altre nazionalità africane, solo un piccola parte di loro è araba. In realtà i paesi arabi non sono mai stati dei luoghi dai quali provenivano larghe masse di immigrati».
Dunque le primavere arabe non incideranno molto sui flussi verso l’Italia e L’Europa? «Sicuramente le crisi in Libia e negli altri paesi nordafricani hanno tolto un tappo», risponde Chaloff. «È diventato più facile, in questa situazione, superare i controlli e imbarcarsi verso le coste. Ma i numeri di queste migrazioni sono davvero esigui se paragonati all’entità dei flussi globali. I migranti arrivati in Italia dalla Libia negli ultimi mesi sono meno di cinquantamila. Pochissimi, se si tiene conto delle masse di persone che ogni anno si muovono da una parte all’altra del continente africano, e che costituiscono la massa principale dei flussi migratori mondiali».
Le parole di Chaloff sono confermate dalle rilevazioni di alcuni autorevoli istituti italiani. E «la vera novità che potrebbe arrivare dalle crisi arabe – aggiunge l’analista – riguarda la Siria. Qui si può parlare veramente di una bolla che, se esploderà, rischia di incidere significativamente sui flussi migratori globali. Ma ancora una volta l’Europa rimane ai margini di questo fenomeno. Le principali direzioni verso cui si muovono i profughi siriani sono la Turchia e il Libano. Certo, molti di loro si sposteranno verso altri paesi. Ma non è affatto detto che la loro meta finale sia l’Unione europea».
La segnalazione del calo nella percentuali dei nuovi immigrati nei paesi Ocse, tuttavia, non nega che le migrazione temporanee per lavoro rimangano elevate. «Il numero dei lavoratori temporanei entrati nei paesi Ocse nel 2009 ha raggiunto circa 1,9 milioni di persone », si legge nel rapporto. Una cifra «notevolmente più elevata rispetto al numero dei lavoratori migranti permanenti, i quali sono rimati stabili a circa 1,5 milioni, dopo una diminuzione di circa il 16 per cento avvenuta nel 2009».
Però il dato di cui bisogna tenere conto per capire come le cose siano cambiate è quello che dice che il numero dei migranti permanenti, nell’ultimo decennio, cresceva con una media del sette per cento annuo.
L’altro luogo comune che questo studio dell’Ocse contraddice è quello secondo cui a pagare i costi della crisi sono soprattutto i lavoratori non immigrati. Il report spiega invece che «gli immigrati sono stati fortemente colpiti, e quasi nell’immediato, dal rallentamento economico. Nei primi tre trimestri del 2008 e del 2009, il taso di disoccupazione tra i nati all’estero è notevolmente aumentato in tutti i paesi Ocse. Da allora, la situazione si è più o meno stabilizzata ma la crescita economica resta ancora insufficiente per potere assorbire la stagnazione dell’utilizzo di forza lavoro».
Tra di loro, poi, a pagare il prezzo più alto sono i giovani. «In numerosi paesi, sono stati soprattutto i giovani immigrati a registrare esiti occupazionali sfavorevoli già da prima della crisi economica. In tutti i paesi i cui dati ci sono pervenuti, tranne la Germania, il tasso di disoccupazione dei giovani immigrati tra i 15 e i 24 anni è diminuito negli ultimi tre anni e in misura maggiore rispetto a quello dei giovani locali».
Insomma, tutto quello che sapevamo sull’immigrazione e la crisi è sbagliato. Ma è molto probabile che questo studio non troverà spazio in nessun telegiornale.
Secondo il rapporto, il numero dei migranti arrivati nei paesi Ocse nel 2009 è calato del sette per cento, due punti in più del calo registrato nel 2008. Altro che esodi biblici. L’origine di questo dato, in totale controtendenza rispetto al senso comune, va ricercato proprio nella crisi economica – che, facendo calare la produzione, diminuisce anche la richiesta manodopea da impiegare: specializzata o non specializzata che sia.
Ma non c’è solo questo. Secondo lo studio, c’è anche un’altra causa a cui è collegato il crollo delle percentuali sull’immigrazione. È la caduta della libera circolazione delle persone. Nel rapporto si legge infatti che «il declino della libera circolazione è stata la causa principale del calo generale avvenuto nel 2009, con una riduzione di circa il ventidue per cento. Allo stesso modo, la migrazione di lavoro ha subito una battuta d’arresto, con circa il sei per cento in meno». Numeri alla mano, dunque, si può dire che la rappresentazione apocalittica che i media danno della situazione è più frutto di una percezione emotiva che di un’analisi attenta della realtà.
Certo lo studio citato – l’International Migration Outlook 2011 – si riferisce ai dati raccolti nel periodo 2008-2009. E l’obiezione che gli si potrebbe muovere è allora quella di non considerare i cambiamenti verificatisi negli ultimi due anni. In particolare, i flussi che dovrebbero generarsi dal disordine provocato dalle recenti rivolte nei paesi arabi. Che, secondo la vulgata corrente, faranno crescere esponenzialmente i flussi migratori: «Non abbiamo dati accurati sul periodo successivo a quello preso in considerazione dal rapporto», dice a Europa Jean-Pierre Garson, uno degli autori dello studio. «I governi non forniscono i dati che riguardano gli ultimi anni. Tuttavia, abbiamo delle informazioni di massima sui flussi. E, secondo i dati che possediamo, nel 2010 il trend che evidenziamo nel nostro rapporto non è affatto smentito, anzi. Anche per quel che riguarda i primi mesi del 2011 – sebbene non possediamo tutte le informazioni che sarebbero necessarie – si può dire che non c’è nessun picco che segnala una controtendenza».
Una delle ragioni per cui i militanti della Lega Nord si opponevano alla guerra in Libia era il rischio di un’invasione di immigrati provenienti dai paesi arabi. Ma Jonathan Chaloff, analista del dipartimento sull’immigrazione internazionale dell’Ocse, esperto delle migrazioni riguardanti l’Italia, spiega al nostro giornale che «i flussi dai paesi arabi verso l’Europa non sono mai stati elevatissimi. La maggior parte delle persone che dal Nord Africa raggiungono le coste italiane – prosegue – hanno altre nazionalità africane, solo un piccola parte di loro è araba. In realtà i paesi arabi non sono mai stati dei luoghi dai quali provenivano larghe masse di immigrati».
Dunque le primavere arabe non incideranno molto sui flussi verso l’Italia e L’Europa? «Sicuramente le crisi in Libia e negli altri paesi nordafricani hanno tolto un tappo», risponde Chaloff. «È diventato più facile, in questa situazione, superare i controlli e imbarcarsi verso le coste. Ma i numeri di queste migrazioni sono davvero esigui se paragonati all’entità dei flussi globali. I migranti arrivati in Italia dalla Libia negli ultimi mesi sono meno di cinquantamila. Pochissimi, se si tiene conto delle masse di persone che ogni anno si muovono da una parte all’altra del continente africano, e che costituiscono la massa principale dei flussi migratori mondiali».
Le parole di Chaloff sono confermate dalle rilevazioni di alcuni autorevoli istituti italiani. E «la vera novità che potrebbe arrivare dalle crisi arabe – aggiunge l’analista – riguarda la Siria. Qui si può parlare veramente di una bolla che, se esploderà, rischia di incidere significativamente sui flussi migratori globali. Ma ancora una volta l’Europa rimane ai margini di questo fenomeno. Le principali direzioni verso cui si muovono i profughi siriani sono la Turchia e il Libano. Certo, molti di loro si sposteranno verso altri paesi. Ma non è affatto detto che la loro meta finale sia l’Unione europea».
La segnalazione del calo nella percentuali dei nuovi immigrati nei paesi Ocse, tuttavia, non nega che le migrazione temporanee per lavoro rimangano elevate. «Il numero dei lavoratori temporanei entrati nei paesi Ocse nel 2009 ha raggiunto circa 1,9 milioni di persone », si legge nel rapporto. Una cifra «notevolmente più elevata rispetto al numero dei lavoratori migranti permanenti, i quali sono rimati stabili a circa 1,5 milioni, dopo una diminuzione di circa il 16 per cento avvenuta nel 2009».
Però il dato di cui bisogna tenere conto per capire come le cose siano cambiate è quello che dice che il numero dei migranti permanenti, nell’ultimo decennio, cresceva con una media del sette per cento annuo.
L’altro luogo comune che questo studio dell’Ocse contraddice è quello secondo cui a pagare i costi della crisi sono soprattutto i lavoratori non immigrati. Il report spiega invece che «gli immigrati sono stati fortemente colpiti, e quasi nell’immediato, dal rallentamento economico. Nei primi tre trimestri del 2008 e del 2009, il taso di disoccupazione tra i nati all’estero è notevolmente aumentato in tutti i paesi Ocse. Da allora, la situazione si è più o meno stabilizzata ma la crescita economica resta ancora insufficiente per potere assorbire la stagnazione dell’utilizzo di forza lavoro».
Tra di loro, poi, a pagare il prezzo più alto sono i giovani. «In numerosi paesi, sono stati soprattutto i giovani immigrati a registrare esiti occupazionali sfavorevoli già da prima della crisi economica. In tutti i paesi i cui dati ci sono pervenuti, tranne la Germania, il tasso di disoccupazione dei giovani immigrati tra i 15 e i 24 anni è diminuito negli ultimi tre anni e in misura maggiore rispetto a quello dei giovani locali».
Insomma, tutto quello che sapevamo sull’immigrazione e la crisi è sbagliato. Ma è molto probabile che questo studio non troverà spazio in nessun telegiornale.

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