“Alla radice del cancro che sta dilaniando” l’Eritrea c’è “la volontà di un uomo che si arroga il diritto di decidere da solo il destino di tutti” scrive, su Nigrizia, Solomon Mehari (per l’articolo completo invito i lettori a consultare www.nigrizia.it, “Nel gulag di Afwerki” di Solomon Mehari)
“È angosciante - continua Mehari -dover dipendere in tutto e per tutto dalle decisioni del presidente Isaias Afwerki, che sta gestendo il paese e i suoi abitanti come se fossero sua proprietà personale”. Un Paese in cui i diritti umani sono “scandalosamente violati” e dove sono inaudite le punizioni inflitte ai disertori.
Scrive, ancora, Mehari: “costoro vengono rinchiusi - ‘imprigionati’ è il termine ufficiale - in container di ferro e lasciati al sole cocente delle depressioni, con 40° di calore. Immaginate come si stia all’interno di quei cassoni arroventati! E molti sono ragazzi di 18 anni”. Per non parlare dei vari “campi di concentramento” sparsi per il paese dove, continua Mehari, “le torture, le sparizioni e le umiliazioni sono all’ordine del giorno”. I loro nomi fanno accapponare la pelle agli eritrei: Wia (30 km a sud di Massaua); Gelao (nord di Massaua); Adi Abeto (5 km da Asmara); Adi Quala (80 km a nord di Asmara); Barentu (210 km a nord di Asmara); Embatkala (40 km da Asmara); Dongolo (60 km da Asmara) e nell’arcipelago Dahlak.
“L’Eritrea vive una fase di crescente autoritarismo e militarizzazione del paese”,conferma il sottosegretario agli Esteri Vittorio Craxi. “La preoccupazione con cui seguiamo questa situazione - continua Craxi rispondendo ad una specifica interrogazione parlamentare presentata da Siniscalchi, Khalil e Mantovani “è condivisa dall’Unione europea e da larga parte della comunità internazionale, in particolare per le sue ricadute in materia di rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali ma anche per le sue inevitabili conseguenze sulla stabilità dell’intera regione del Corno d’Africa. Il Governo italiano continua a svolgere ogni passo utile, sia sul piano bilaterale che in concertazione con i nostri principali partner e alleati, per richiamare il regime del Presidente Isayas alle sue responsabilità in materia di diritti umani e delle libertà fondamentali”.
Non basta secondo le associazioni delle ONG italiane che vorrebbero “un’azione diplomatica più incisiva, per evitare che si giunga al punto di non ritorno”.
“Non ci si deve sorprendere - dichiara Sergio Marelli, presidente dell’Associazione delle ONG Italiane - se, davanti a una situazione così drammatica, decine di cittadini eritrei preferiscano la fuga, andando a morire sulle coste italiane, come è successo ancora in questi giorni a Lampedusa”.
E per catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica, un gruppo di Eritrei guidati da Samuel, Tekle e Dania, venerdì 18 agosto 2006, consegnerà una lettera di appello al Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan. L’idea è di chiedere alle Nazioni Unite l’istituzione di “una Commissione Internazionale per investigare sulle condizioni dei prigionieri politici eritrei”.
Dopo la consegna della lettera, i marciatori si dirigeranno verso la Statua della Libertà da cui inizierà la marcia di 265 miglia verso Washington, DC.
da Girodivite
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