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martedì 2 novembre 2010

Un mondo di bolognesi

oltre la città

Dalla Francia al Messico, dieci storie di quelli che hanno lasciato i portici per amore o per lavoro: chi è partito 60 anni fa, chi ha detto addio alle Due Torri da poco


Bologna, città di emigranti. Sì, avete letto bene. Solitamente si parla del numero di stranieri presenti sotto le Due Torri, di integrazione e di impatto sul welfare o sul commercio locale. Questa volta abbiamo provato a fare il percorso inverso. E a risalire alle storie di chi, nato e cresciuto a Bologna, ha deciso di cambiare città per costruire altrove la propria vita.
Sono dieci traiettorie molto diverse tra loro: per età di chi è andato all’estero, per i Paesi scelti, per le professioni. Qualcuno è andato via per mettere su famiglia, altri sono giovanissimi che hanno lasciato casa dei genitori in cerca di un lavoro o anche solo di stimoli nuovi. Anche i rapporti con Bologna sono diversi. C’è chi è andato in Argentina e in famiglia ha continuato a parlare italiano e a mangiare bolognese, chi invece ha assunto pienamente lo stile di vita e la cultura del nuovo paese. Cambiano anche i mestieri: i più giovani hanno profili che hanno a che fare con il mondo della cultura o della comunicazione. Forse, più passa il tempo, più contano gli stimoli e la voglia di realizzazione professionale, invece che le necessità economiche in senso stretto. Queste storie non vogliono comunque offrire un quadro esaustivo, né essere un’analisi statistica sui fenomeni migratori della provincia. I numeri però ci sono. Sono quelli di Palazzo d’Accursio, secondo cui i bolognesi residenti all’estero sono quasi undicimila. Di questi, 1.600 sono partiti soltanto tra il 2006 e il 2008. Saldamente in testa, come meta, resta il Regno Unito, ma il nuovo eden sembra essere il Brasile, lo stato che più di ogni altro ha visto moltiplicarsi il numero dei bolognesi che lo hanno scelto.
Dal 2006 al 2008 sono stati 268 i cittadini delle Due Torri che hanno scelto il Regno Unito. Al secondo posto tra le mete preferite, il Brasile, con 161 bolognesi immigrati, seguono Francia (128) e Spagna (121). I più giovani preferiscono l’Europa: circa il 65 per cento di quanti non hanno varcato i confini del continente ha meno di 35 anni e si è trasferito soprattutto per lavoro. Gli Stati Uniti, che nell’immaginario collettivo si caratterizzano come terra promessa dell’emigrazione, si fermano a quota 107 bolognesi approdati negli ultimi tre anni. Ben più, comunque, della più vicina Germania, che ha visto trasferirsi dalle Due Torri 58 persone nello stesso periodo.
Mauro Montanari, 54 anni - Germania
Mauro Montanari
Mauro Montanari
Partito alla volta di Francoforte nel 1991, in questi anni Mauro Montanari si è sempre occupato di questioni legate all’immigrazione italiana in Germania. La carta di identità indica in Ferrara la sua città natale, ma Montanari, figlio di genitori bolognesi, ha sempre vissuto sotto le Due Torri. Finché, nell’anno successivo alla riunificazione della Germania, non ha deciso di lasciare l’Emilia. A Francoforte ha cominciato come insegnante di Italiano. Poi ha intrapreso la carriera giornalistica. Dirige dal 1998 il Corriere d’Italia, giornale rivolto alla comunità italiana. «Fondato nel 1951 dalla Missione cattolica di Francoforte, oggi è uno dei più diffusi giornali italiano all’estero», spiega. Nel 2008 e nel 2009, il suo Corriere è stato premiato come migglior giornale per gli italiani all’estero da una giuria presso la Presidenza del consiglio. Nel 2009 Montanari ha ricevuto da Napolitano il titolo di Grande ufficiale della Repubblica. Ha scritto due libri sull’immigrazione: Quando venni in Germania (tradotto in tedesco, Als ich nach Deutschland kam), raccolta di lettere inviate al giornale, e Che qualcuno passi a sentire come stiamo, con gli scritti dei carcerati italiani in Germania tra il 1999 e il 2004.
Marina Piazzi, 56 anni - Messico
Marina Piazzi
Marina Piazzi
Già nella metà degli anni 70, a spingere Marina Piazzi e il marito, Roberto De Maria, a emigrare è stato il precariato. «La prima volta siamo partiti per Città del Messico nel 1973. Siamo stati un paio di mesi, perché i miei genitori vivevano lì, mio padre era stato mandato per lavoro da un’azienda bolognese». Poi di nuovo nel 1976: «In Italia non c’erano prospettive». Il marito, ad esempio, era laureato nell’ambito della fisica sanitaria, settore dove a Bologna non c’era spazio. Così dopo anni di lavoro non retribuito e precariato, la decisione di partire definitivamente. Lei adesso ha 56 anni. Ha insegnato italiano prima all’Istituto di cultura in Messico, poi nel dipartimento di Italiano dell’Università Nazionale Autonoma del Messico. Adesso lavora come volontaria: è membro del Consiglio regionale degli italiani all’estero e responsabile in Messico del patronato Ital della Uil. Il marito, che è stato dirigente della Kone, azienda finlandese con sede anche a Città del Messico che rilevò la Sabiem, adesso è in pensione (60 anni). Hanno un figlio. «Continuerò a vivere con mio marito a Città del Messico, non penso che tornerò a Bologna. Torno spesso in Italia. Ma solo in vacanza».
Sandra Nannetti, 65 anni - Argentina
Sandra Nannetti
Sandra Nannetti
Aveva solo cinque anni quando ha lasciato Bologna per Mar del Plata. «Ma la sento ancora come la mia città», spiega Sandra Nannetti, 65 anni. Complice anche la cultura, che in famiglia non hanno mai perso, a cominciare dalla tavola: «Io cucino tagliatelle, passatelli e tortellini. In casa mia si parlava italiano». Tanto che il marito, argentino, «si è dovuto abituare a vivere in una famiglia bolognese», scherza lei. Il padre è partito per l’Argentina nel 1949. Poco dopo è stato raggiunto dalla famiglia. Lei ha insegnato in una scuola argentina per anni, mentre la sorella Anna ha continuato a lavorare con il padre, che, dopo aver cominciato costruendo mobili, ha aperto un’azienda che commercia legno. Adesso vive bene, ma ricorda la vita dura dell’inizio: «Abbiamo attraversato anche periodi politicamente difficili», spiega, ricordando il colpo di stato del 1976 e gli anni che passeranno alla storia per la «guerra sporca» e i desaparecidos. «Abbiamo fatto sacrifici. Abbiamo trovato il benessere con fatica. Sono riuscita a pagarmi gli studi, ho terminato l’Università e pian piano…». Sotto le Due Torri è tornata soltanto due volte, negli anni ’70 e nel 1990: «È stato strano, ho "scoperto" la mia città a vent’anni».
Francesca Tosarelli, 26 anni - Inghilterra
Francesca Tosarelli
Francesca Tosarelli
Se si ha per passione la fotografia, bisogna accettare di buon grado l’idea di spostarsi. E Francesca Tosarelli, bolognese di 26 anni, dopo la laurea in Arte al Dams non è certo stata ferma. Prima la scuola di fotografia, a Milano. Poi una serie di lavori come assistente sui set fotografici: in Sicilia e all’estero, per quattro mesi, tra India e Thailandia. Finché non ha deciso di dire addio all’Italia. La meta, Londra: «Prima di tutto perché la proposta culturale di questa città è notevole, decisamente superiore all’Italia. Poi, avevo bisogno di una città del Nord, dove le cose funzionassero, dove i tempi fossero più simili ai miei». Così nell’aprile del 2010 ha lasciato Bologna: «All’inizio ho abitato in una casa occupata e ho potuto vivere senza spendere tanto. Adesso ho traslocato in un appartamento in affitto». Ha cominciato a lavorare come fotografa freelance: «Finora alcuni lavoretti. Con il Royal Antropological Institute, ho coperto qualche evento al British Museum. Sto girando, prendo contatti con le agenzie». In Italia, comunque, non ci vuole tornare: «Difficile trovare lavori pagati. E poi la situazione italiana per welfare, politiche dell’immigrazione, servizi pubblici è al baratro».
Michele Biagietti, 39 anni - Spagna
Michele Biagietti
Michele Biagietti
«La pallacanestro non è seguita come a Bologna. Ma penso che in Europa Basket City sia un caso unico». Per un ex atleta della Fortitudo, alto due metri e otto centimetri, non è un dettaglio da poco. «Ma faccio un po’ di campetto anche a Madrid». Michele Biagietti ha lasciato Bologna appena nove giorni dopo la laurea in Giurisprudenza, nel maggio del 1998. «La mia ragazza, che poi sarebbe diventata mia moglie, è spagnola. Ci siamo incontrati negli Stati uniti, dove studiavo giornalismo e giocavo a Basket, alla Drake University nell’Iowa, dal ’90 al ’93». Prima era stato l’«undicesimo» della Fortitudo, poi ha giocato in B2. E infine la Spagna: «Ho trovato lavoro facilmente, erano anni di crescita economica. Venendo da una piccola città, ho apprezzato i vantaggi della capitale, che Madrid offre senza gli svantaggi della grande metropoli. È una città comoda, che non ti giudica, ideale per cominciare un percorso professionale». Adesso, come responsabile per l’Europa della formazione del personale di vendita della Kimberly Clark, viaggia spesso. Ha due figli. Uno gioca già a pallacanestro, tra i piccoli dell’Estudiantes. Sarà il gene di Basket City.
Simone Buttazzi, 34 anni, Germania
Simone Buttazzi
Simone Buttazzi
Per il colpo di fulmine è stato fatale un Capodanno a Berlino: Simone Buttazzi, 34 anni, ha deciso che avrebbe vissuto nella capitale tedesca. «Cominciai a studiare la lingua a Bologna, all’Istituto di cultura germanica. Tutte le volte che avevo un po’ di ferie andavo in Germania. E naturalmente andavo sempre a Francoforte per la Fiera del libro». Già, perché l’editoria è il campo di lavoro di Buttazzi, traduttore, editor e scout: scopre libri tedeschi da proporre a case editrici italiane. Si è trasferito nel 2005: «L’occasione fu un appartamento di un amico bolognese, lasciato libero a Berlino. Mi sono licenziato dal service editoriale per cui lavoravo come scrittore e traduttore». Adesso tiene monitorato il mercato editoriale tedesco: «Quando scopro un lavoro interessante, mi informo su chi è l’autore, chi detiene i diritti e poi lo propongo in Italia. Faccio anche urban watching, osservo i nuovi trend della capitale tedesca, i nuovi posti alla moda, per un’azienda italiana». Adesso a Berlino ha comprato casa, con un mutuo, dove vive con il suo cane: «I prezzi qui sono inferiori rispetto a Bologna. La qualità della vita è migliore. E i servizi funzionano, Berlino non è solo la capitale dei locali notturni e dei club».
Luciana Ghermandi, 53 anni - Argentina
Luciana Ghermandi
Luciana Ghermandi
Dall’Appennino alle Ande per amore. È la storia di Luciana Ghermandi, che nel 1980, quando aveva 23 anni, ha deciso di lasciare Bologna per seguire l’uomo che adesso è suo marito, argentino. Lui sotto le Due Torri studiava veterinaria. Lei medicina e l’ha seguito fino a San Carlos de Bariloche, 800 metri sul livello del mare, alle pendici della catena delle Ande. «La facoltà di Medicina non c’era, e così ho ricominciato da zero, studiando Biologia. Poi il dottorato, adesso faccio la ricercatrice». Lavora per l’equivalente argentino del Cnr, il Conicet. «All’inizio è stato difficile, non parlavo neanche spagnolo». Adesso però è soddisfatta: «Sto bene. E per una biologa interessata alla natura, la Patagonia offre uno spettacolo unico». A Bologna torna almeno una volta all’anno: «Fortunatamente ho mantenuto molti contatti di lavoro tra l’Italia e l’Argentina». Adesso è a capo di un’associazione di emiliani in Argentina: «Lavoriamo per il recupero della lingua. L’italiano si perde in fretta, in una generazione o due». Uno dei suoi due figli ha studiato a Bologna, dove ha vissuto per sette anni. Poi è tornato. «Non è facile cambiare paese». Se lo dice lei.
Paolo Flezzani, 59 anni - Stati Uniti
Paolo Flezzani
Paolo Flezzani
La vita è diversa nel North Carolina. Lo sa bene Paolo Flezzani, medico anestesista di 59 anni, che nel 1978 ha lasciato i portici della città medievale per trasferirsi a Winston-Salem, in una casa circondata da tra ettari di terreno, dove aveva anche un piccolo «ranch»: «Avevamo alcuni cavalli, piaceva a tutta la famiglia, anche alle mie tre figlie, galoppare nei dintorni. Adesso non li abbiamo più». Flezzani si è trasferito per mettere su famiglia: «Mia moglie è americana. Ci siamo sposati in Sala Rossa, a Palazzo d’Accursio. Dopo la laurea, a 27 anni, ho fatto un anno di militare e sono partito per gli Usa. Era più facile cambiare paese per me, la laurea di mia moglie, assistente sociale, non si traduceva in niente in Italia». Flezzani si è specializzato negli Stati Uniti e a Winston lavora come medico anestesista: «Qui la sanità è diversa. Non esiste un sistema sanitario nazionale, ma si guadagna meglio nella professione medica». Adesso si trova «benissimo». Le tre figlie, americane a tutti gli effetti, non parlano nemmeno italiano: «Per i nonni è un cruccio». Ma nel North Carolina, dove domina l’industria del tabacco, c’è un po’ di Bologna: «Le macchine della Gd».
Criss Muntean, 27 anni - Francia
Criss Muntean
Criss Muntean
Parigi la adorava sin da piccola: «Tutte le estati andavo in Francia». Poi, di ritorno da un anno passato a Londra, Bologna ha cominciato ad andarle stretta: «Non era più possibile vivere qui. È una bellissima città, ma troppo piccola. Volevo andare ad abitare almeno in una capitale europea». Così Criss Muntean, bolognese di 27 anni, sei anni fa ha lasciato le Due Torri per la Tour Eiffel. Ha interrotto gli studi in Lingue all’Alma Mater e si è iscritta in Storia dell’arte alla Sorbonne, dove si è laureata. Ha lavorato nel cinema e nella comunicazione. Adesso ha trovato un impiego in un’agenzia che cura la comunicazione e le pubbliche relazioni di celebrità e personaggi famosi e dello spettacolo. «Qui ci sono sicuramente più possibilità — spiega —. C’è un mix di culture e nazionalità diverse, una ricchezza. Soprattutto per una persona, come me, portata a viaggiare e a parlare più lingue». Torna a Bologna almeno una volta all’anno, per salutare amici e genitori. «Ma non credo che tornerò mai a viverci, se non obbligata per lavoro. Mi piace molto e ho un ottimo ricordo degli anni del liceo e dell’università. Parigi, però, è un’altra musica».
Francesco Anderlini, 79 anni - Cile
Le tagliatelle sono state la sua fortuna. Anzi, le fetuchini con salsa de carne, come le chiamano a Santiago del Cile, dove Francesco Anderlini ha il ristorante. Il locale si chiama «Le Due Torri». E il nome, così come l’insegna su cui campeggiano disegnati dalla luce dei neon i simboli delle famiglie Garisenda e Asinelli, lascia pochi dubbi sulle origini. Anderlini è nato a Bologna 79 anni fa. Nel 1956 si è trasferito a Santiago con la sua famiglia. Poi nel paese sudamericano ha messo su famiglia. Ha sposato una donna cilena, ma di origini italiane. Il ristorante «Le Due Torri» lo ha aperto nel 1960. «Chiaramente cucina bolognese, dalle tagliatelle ai tortellini», spiega Anderlini, che ha ricreato anche l’atmosfera di un ristorante italiano nel locale. Se ha intenzione di tornare a Bologna? «No — risponde secco —, anche perché qui sto bene. Il ristorante è sempre pieno, l’attività economicamente va». Il ristorante è tra i più famosi e rinomati della città. I suoi figli sono a tutti gli effetti cileni. «Però vorrei fare un viaggio con loro in Italia. Per fargli conoscere Bologna, la città dove sono nato, ma anche il resto della Penisola, perché non la conoscono».
Renato Benedetto Isabella Fantigrossi
Corriere di Bologna.it

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